Da 3 mesi a 5 anni le condanne e 150 milioni di euro di risarcimento per il danno ambientale.
Sentenza insoddisfacente quella emessa ieri contro la Cavet a termine del processo per la Tav nel Mugello. Se da un lato è importante l’aver comminato sanzioni penali (che, per inciso qualora confermate in appello sarebbero per lo più condonate e quindi prive di effetti) a dimostrazione della gravità del danno arrecato, del tutto insufficienti sono le sanzioni. 150 milioni a fronte dei 750 richiesti dal Pubblico Ministero.
Questo perché i vertici Cavet sono stati riconosciuti colpevoli solo per lo smaltimento abusivo dei rifiuti del cantiere e non anche della distruzione o nel migliore dei casi dell’impoverimento del patrimonio idrico della zona interessata dai lavori.
I giudici hanno parlato di danni causati da imperizia o negligenza e non essendo previsto il reato di danneggiamento colposo non è possibile emettere condanna per tali fatti. Ancora aperto resta poi il filone relativo al furto d’acqua, per i quali i giudici hanno sollevato una questione di costituzionalità sulla quale dovrà pronunciarsi la Suprema Corte. Inoltre, come già annunciato, non solo la Cavet ricorrerà in appello (e gli avvocati difensori sono speranzosi di vedere i propri clienti prosciolti da ogni accusa), ma chiederanno anche la sospensione del pagamento in attesa del secondo grado di giudizio.Altra parentesi buia è la prescrizione di diversi reati durante il processo durato 5 anni (nemmeno troppi visti i tempi della giustizia italiana).
Il capitolo Tav tuttavia non è ancora chiuso, visto che i lavori prevedono nuovi scavi nella zona di Firenze con il progetto di un tunnel proprio sotto il letto del Mugnone. Si spera che almeno questa volta i controlli siano più efficaci e serrati. Anche se il vero augurio è quello che si possa arrivare ad un ripensamento dell’intero progetto con l’abbandono della linea sotterranea esclusiva per una linea di superficie promiscua.
All’uomo della strada però resta ancora una domanda: com’è possibile che accadano danni di tali dimensioni nonostante strumenti come la VIA e la VAS. Purtroppo la Valutazione di Impatto Ambientale nasce già come uno strumento depotenziato, perché anziché servire a valutare la fattibilità o meno di un progetto, prende in considerazione solo gli eventuali correttivi per l’approvazione dello stesso. Insomma una volta arrivati al VIA non è praticamente più possibile dire di no al progetto.
Altro punto da chiarire è perché le associazioni ed i cittadini in genere, restino sempre ai margini dei processi decisionali per opere di forte impatto sul territorio e sulle comunità circostanti? Una classe politica che fa della partecipazione diffusa una bandiera, dovrebbe quantomeno tradurla nei fatti.
Come ultima cosa speriamo che (qualora la richiesta di sospensione del pagamento non fosse accettata) i soggetti destinatari dei 150 milioni (ministero, regione, provincia ecc) utilizzino quei soldi per progetti di recupero delle zone interessate dal danno ambientale ed a sostegno delle comunità colpite.
Per il resto, restiamo in attesa dei prossimi sviluppi.
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